Il futuro delle pensioni in Europa

L’ammirevole determinazione della classe operaia francese, che incalza senza arrendersi contro la distruzione del sistema pensionistico, ci indica la strada: l’aumento della coscienza di classe e dell’azione diretta delle lavoratrici e dei lavoratori è fondamentale per andare avanti e non retrocedere; per questo la CNT spagnola affiliata alla CIT ha fornito il 21 maggio scorso uno spazio di dibattito e di conoscenza internazionalista, al quale hanno partecipato compagne e compagni di sindacati europei, come Luciano Nicolini e io dell’USI-CIT, Marc Stehle della FAU (Germania), Pep Bobadilla della CNT, Hortensia Inés di SUD Santé Sociaux (Francia), Arístides Pedraza di SUD Svizzera e con il contributo speciale di un compagno di un sindacato extraeuropeo, Leonardo Elgorriaga della FORA, Argentina, un paese che ha attraversato un processo simile e che ci mostra la direzione verso la quale andiamo, a distanza di anni.

La tavola rotonda si è aperta con l’introduzione di Ana Sigüenza, della segreteria internazionale della CNT, che ha ricordato la costante pressione dei governi a favore delle soluzioni private di pensione, che riduce sempre di più il diritto a quella pubblica, approfittando della recente pandemia come scusante per queste riduzioni. Ana ha citato l’esempio della lotta delle lavoratrici e dei lavoratori francesi, che ci porta a interrogarci sulla possibile risposta all’attacco capitalista e ci fa riscoprire lo slancio della protesta che negli altri paesi non si vede da molti anni ormai.

Il primo elemento di conversazione è stata la situazione attuale dei diritti nei diversi paesi e gli eventuali pericoli che i sindacati intravedono rispetto a questo tema. Come in Italia, negli altri paesi rappresentati si sono susseguite riforme che hanno attaccato e depotenziato il diritto alla pensione pubblica, riforme attuate da governi sia di destra che di sinistra, che non hanno fatto altro che dar seguito alle richieste sempre più pressanti degli organismi capitalisti internazionali, come la Banca mondiale e il Fondo Monetario Internazionale, nell’ottica di una crescente privatizzazione e dell’abbandono graduale del contributo pubblico. Mentre in Italia e in Germania si va già in pensione a 67 anni con un tasso di sostituzione che oscilla tra il 48 e il 60%, in Spagna la situazione è a oggi un po’ migliore, soprattutto perché i fondi privati sono relativamente poco presenti; di contro, se in Svizzera quasi i due terzi delle pensioni provengono da fondi d’investimento, in Argentina nel 2008 si è tornati al sistema pubblico dopo decenni di pensioni esclusivamente private, ma in una situazione di crisi tale da riservare i fondi al pagamento del debito internazionale. Il 35% delle persone, inoltre, lavora in nero e questo fa sì che arrivino all’età pensionabile senza aver versato contributi, condannati all’indigenza. La conseguenza, in Argentina come altrove, è che la gente continua a lavorare oltre i 70 anni. In Francia, dove il sistema riconosceva 37 regimi pensionistici a seconda del lavoro svolto, il governo ha deciso di equiparare gradualmente tutte le condizioni, con evidente perdita di potere acquisitivo, e di innalzare l’età minima per la pensione da 62 a 64 anni. È stato sottolineato il divario di genere, che si situa intorno al 30/40%, a cui si aggiunge la minor capacità contributiva delle donne che svolgono prevalentemente le mansioni riproduttive e sono quindi costrette spesso a lavorare part-time.

Tutti i compagni intervenuti hanno espresso la preoccupazione che la situazione peggiori, come conseguenza di un attacco graduale e costante, che risponde alle logiche capitaliste e che è stato portato avanti da tutti i tipi di governo che si sono susseguiti al potere negli ultimi decenni.

Dopo questa fotografia sulla condizione presente, la conversazione si è spostata sulle prospettive future di risposta sindacale alle politiche in atto, con particolare riferimento alla grande mobilitazione francese di queste settimane. In generale negli altri paesi non c’è una risposta sociale, non è visibile la lotta. I motivi sono vari, il più evidente è che i lavoratori e le lavoratrici, in particolare giovani, non vedono imminente il pericolo, guadagnano poco (spesso meno di un pensionato) e non scendono in piazza per un problema che non identificano come proprio. I sindacati concertativi per lo più si dedicano ad assecondare le decisioni dei governi e se in Francia questo non avviene è perché si sono sentiti obbligati dalla base che si è mobilitata e ha preteso che anche i vertici prendessero posizione contro la politica pensionistica proposta da Macron. Le soluzioni che i sindacati partecipanti alla tavola rotonda hanno proposto sono orientate alla comunicazione, all’internazionalizzazione del conflitto, all’azione diretta: è necessario organizzarsi per scendere in piazza come sta accadendo in Francia; diffondere comunicati e manifesti che coinvolgano l’anarcosindacalismo e il sindacalismo rivoluzionario in questa conversazione appena iniziata; agire nella lotta con obiettivi mirati e concreti, anche se siamo pochi, anche se siamo piccoli; non aspettarsi che l’intervento arrivi dalle istituzioni, dalle urne, dai sindacati concertativi, anche perché si è visto ovunque che la protesta si riduce quando al potere c’è la “sinistra”. Infine, lottare per la vita, mettere al centro la vita e le esigenze della gente tramite l’azione diretta a livello globale, che è il nostro sistema e la nostra risposta sempre.

Anna Gussetti

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